Può essere vietato l’utilizzo di una porta non ricompresa dal regolamento contrattuale tra le modalità di accesso del complesso condominiale?
Secondo l’art. 1102 cod. civ, rubricato uso della cosa comune, ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
Al riguardo, la Cassazione Civ. Sez. VI, con l’Ordinanza n. 15851/2019 del 12/06/2019, ha statuito che “l’art. 1102 cod. civ. prescrive che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, salvo il limite della non alterazione della destinazione, chiarendosi che l’art. 1102 cod. civ. non pone una norma inderogabile, potendo detto limite essere reso perfino più rigoroso dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il quorum prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni”.
Ne consegue che un’erronea interpretazione della tassatività dell’elencazione degli accessi pedonali e carrabili del regolamento condominiale contrattuale non risulta essere idonea a precludere l’accesso mediante una porta ivi non menzionata, pur avente natura di parte comune, in quanto siffatta esclusione violerebbe il diritto dei condomini all’uso delle parti comuni.
Non è pertanto consentito escludere l’utilizzo di una porta comune per non essere tale varco previsto nel regolamento di Condominio.
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